Ciò non comporta tuttavia che ad un tema difficile debba corrispondere una
forma complessa, gli autori possono trattare argomenti drammatici con
semplicità e suscitare così maggiormente con le loro opere sentimenti di
memorabile intensità, è il caso di Giovanni Di Gregorio e Claudio Stassi
e di “Brancaccio,
Storie di Mafia Quotidiana”.
Questo Graphic Novel è composto dagli episodi della vita di tre persone, un
bambino, un uomo ed una donna, che vivono a Palermo nel quartiere di
Brancaccio; la storia è ambientata nel 1994, un anno dopo la morte di Padre
Puglisi. Nino ha dieci anni e frequenta la quinta elementare, dopo aver preso
la licenza media spera di andare via da Palermo. Nino è costretto però a
frequentare anche un’altra scuola, la strada, ed un altro maestro, il suo amico
Carmelo, un piccolo malvivente che gli insegna “quattro cose di quelle giuste”,
rubare e rivendere i motorini. Mentre va al doposcuola, dove non si “danno
piccioli” come dice Carmelo, Nino incontra tre bulli che lo prendono in giro e
lo picchiano. In questa scena una semplice scelta di sceneggiatura acquisisce
una grande funzione esplicativa: nell’ultima vignetta della pagina di destra
infatti si vede in primo piano uno degli aggressori di Nino, voltata pagina
invece la prima vignetta inquadra da vicino un cane nero rabbioso.
L’ambientazione è cambiata, assistiamo infatti ad un combattimento
clandestino tra cani, Carmelo è tra gli spettatori ed un uomo gli spiega che
sarà il nero a vincere, perché è stato tenuto in isolamento, affamato,
picchiato e costretto a combattere per ottenere qualunque cosa.
Nella stessa pagina queste parole si sovrappongono alle immagini del
pestaggio di Nino e chiariscono il senso della sequenza delle vignette e della
loro associazione: il bullo è come il cane nero, gli sono state insegnate le
stesse cose e sa quindi, come vediamo nella terza pagina, che ogni essere deve
uccidere o soccombere. Nino invece si rialza e va al doposcuola dove il suo
maestro gli chiede di scrivere una lettera ad un amico a cui possa confidare i
pensieri e i sogni più nascosti. Sulla strada di casa Nino incontra di nuovo
Carmelo e prende il suo motorino per andare a comprargli le sigarette. Nino è
di nuovo contento, si sente grande, pensa al suo sogno e non alla strada, da
cui sbuca un’Ape che lo investe. Pietro vende pane e panelle ed è un uomo
onesto, ma un giorno il boss del quartiere lo fa chiamare e gli chiede di
portare un pacco ad una persona. Pietro non riesce a dire di no ed effettua la
consegna; sulla strada del ritorno, distratto dai ripensamenti della sua
coscienza, provoca un incidente mortale. Non è colpa sua, si ripete
ossessivamente, l’altro era a fari spenti, la strada era bagnata, ma tra le
lacrime Pietro non può fare a meno di chiedersi che male abbia fatto.
Angelina è una casalinga, la seguiamo nella sua quotidiana processione alla
fontana da cui prende l’acqua per casa, e da un medico al quale chiede degli
antibiotici per il figlio. Angelina non ha rinnovato la tessera sanitaria ma
questo non è un problema per il dottore, che in cambio della ricetta medica le
dà un “santino”.
Il blasfemo eufemismo si riferisce al volantino elettorale di un primario
che con la complicità del dottore pilota le assunzioni nel proprio reparto,
noto ai giornali per il suo degrado. Quando alla fine della sua giornata
Angelina giunge a casa, apprende che il figlio è morto in ospedale per
l’assenza di macchine diagnostiche funzionanti.
Anche in questo caso la sequenza delle vignette si rivela fondamentale,
mentre Maria disperata chiede chi ha ucciso suo figlio, l’inquadratura si
stringe su di lei, e dà a noi la risposta alla sua domanda. Confesso, ma
probabilmente l’avrete già intuito, che di queste tre semplici storie vi ho
dato un resoconto ellittico, ma non posso non invitarvi alla lettura e alla
scoperta diretta dei legami che intrecciano le tre storie, dei loro rimandi
interni e di altre suggestioni visive, indescrivibili a parole. Non vi ho
tuttavia nascosto l’essenziale: i segni chiari e vigorosi di Claudio Stassi
tratteggiano la storia di Giovanni di Gregorio rispettandone la semplice ma non
facile descrizione del contrasto tra la lettera scritta da Nino all’amico Don
Pino e il tracotante analfabetismo delle “cose giuste” di Carmelo, in un mondo
dove chi soccombe si rivela corresponsabile della propria sorte tragica per non
essersi ribellato all’anticultura mafiosa.
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